di DANIELE LA MONACA
La costa di Bosa vista da Mirko Ugo |
Secondo
i dizionari il mal di terra è una “sensazione di malessere,
squilibrio e stordimento dovuta al fatto che il sistema visivo e
quello vestibolare devono riaccoppiare le informazioni ottenute
dall’ambiente circostante dopo aver trascorso un determinato
periodo in mare”.
Per
me, il mal di terra significa molto più di questo. Significa
orizzonti spezzati, dove il sole è costretto ad un interminabile
nascondino fra blocchi di cemento; significa sostituire al respiro
profondo del mare l’ansioso singhiozzo dei clacson e al soffio
leggero di un delfino il sudicio tossire delle macchine.
Quando
arriva la notte, vado ad affacciarmi alla finestra credendo di poter
ammirare ancora mille costellazioni e invece mi trovo di fronte ad un
velo sfocato e offuscato dalla luce dei lampioni. Allora, deluso,
decido di andare a dormire, ma sotto le lenzuola mi sorprendono i
ricordi della mia infanzia. Durante i mesi invernali, nella mia ormai
lontana Sicilia, cercavo con la fantasia di ingannare la nostalgia
del mare costruendo rudimentali canne da pesca e calavo la lenza
nella cesta dei giocattoli oppure trascorrevo ore ed ore nella vasca
da bagno giocando con pesci e delfini di plastica per rivivere i
ricordi estivi. Passeggiare lungo la riva del mare era una magra
consolazione, perché io quelle onde volevo cavalcarle. Così,
adesso, mi rendo conto che questa sensazione non è affatto nuova per
me, ma ora che non sono più un bambino, cosa posso inventarmi per
restare attaccato a quell’immensa distesa blu?
Nessun commento:
Posta un commento